PRESENTAZIONE
Anche la città di Arcore presenta un notevole numero di edicole e statue con effigi religiose, il più delle volte di non rilevante valore artistico, catalogate come arte minore. Sono testimonianza tuttavia di una devozione popolare per alcune immagini sacre e, in particolare, ancora oggi, per quelle legate al culto mariano e a quello di alcuni santi.
Nella maggior parte dei centri di origine rurale, si conservano tuttora numerose opere di devozione popolare. Si tratta perlopiù di testimonianze di arte pittorica locale di autori anonimi raffinati o un po’ naif. Le piccole cappelle votive sono sorte ai crocicchi, lungo le vie più battute o nelle antiche corti, ove la presenza discreta dei santi più venerati o dell’effige della Madonna ha sempre avuto un ruolo importante per i viandanti e i contadini che cercavano conforto e protezione.
Questi manufatti, ereditati dai nuclei famigliari del proletariato urbano e in seguito implementati con le nicchie, le grotte e le sculture collocate negli oratori, nei cortili cittadini e nei giardini privati, vanno ricondotti ai dettami impartiti dopo il Concilio di Trento e dal cardinale Carlo Borromeo, che nel 1577 raccomandava: “[…] gli oratori dove non si celebra la Messa, che sono solitamente costruiti lungo le strade, si edificheranno non nei campi, ma sulla via pubblica, in modo che i viandanti, mossi da sentimenti pii nel vederli, si fermino un po’ a pregare […]”. (1)
La nostra ricerca ha dato seguito ad una schedatura e raccolta fotografica e propone una varietà di opere di devozione di diversa tipologia ed epoca, raccolte sul territorio di Arcore, in cui soprattutto nel ‘700, si moltiplicarono Oratori e chiesette, alcune legate al culto privato nelle ville di delizia, altre per la preghiera degli abitanti nelle frazioni periferiche. Questi edifici religiosi si aggiunsero alle già numerose ed antiche chiesette di origine monacale.
La dedicazione delle opere ad Arcore è prevalentemente mariana, ad eccezione di alcune effigi dei Santi patroni, o delle sculture dedicate alle personalità più venerate nella devozione popolare per la protezione dalle malattie di uomini e animali. Nel nostro territorio è più raro trovare raffigurazione di santi riconducibili ai paesi d’origine di cittadini immigrati.
E’ infatti attestata in Lombardia e in altre parti d’Italia la prevalenza del culto tributato alla Madonna, a cui contribuirono la proclamazione dei dogmi dell’Immacolata Concezione nel 1854 (vedi schede N° 12 – 20 – 25) e dell’Assunzione nel 1950, e soprattutto le notizie delle apparizioni di Lourdes (1858) (vedi schede N° 31 – 38 – 42 – 44 – 45 – 47) e di Fatima (1917), che andarono a consolidare il ricordo delle visioni locali di Caravaggio (o Santa Maria della Fonte) del 1432 (vedi schede N° 3 – 5), quelle della Madonna della Guardia (1490), della Madonna della Stella (1491) e della Beata Vergine dei Miracoli (Corbetta, 1555) non riconosciuta dalla Chiesa cattolica. La proposta presentata nel 1962 dal vescovo Dario Bolognini alla Sede Apostolica, che attribuì alla Beata Vergine del Sacro Fonte in Caravaggio il titolo di compatrona della comunità diocesana di Cremona, dovette pertanto esercitare una considerevole influenza sulla pratica devozionale della seconda metà del XX secolo in Lombardia. Nelle corti rurali della Brianza non è raro riconoscere la Madonna del Bosco di Imbersago o le apparizioni ai tre fanciulli di Ornago nel Vimercatese, richiamandosi così ai Santuari più vicini.
Il culto delle apparizioni ai fedeli di umili origini potè fin dall’inizio diffondersi con una certa facilità nella cultura popolare in virtù della ricerca di un rapporto più diretto e accessibile con il divino: da qui la scelta di far ricorso, nelle raffigurazioni pittoriche come nelle opere scultoree, a impostazioni semplici, con immagini sacre perlopiù frontali, al fine di garantire l’intercessione con il supplicante. Le fonti iconografiche assunte a modello vanno ricercate nelle piccole stampe distribuite alle feste dei Santi o nei luoghi di pellegrinaggio, nelle immaginette vendute presso i Santuari o diffuse attraverso i libri di preghiere e i testi liturgici.
Anche in Arcore questa venerazione rispetta dei modelli consolidati da secoli con una funzione protettiva e di sacralizzazione del territorio come se fossero presenze in luoghi potenzialmente a rischio, crocevia, corti agricole…; a volte le immagini extra liturgiche diventavano anche stazioni per la recita di preghiere private o collettive e, nel mese di maggio, per il rosario.
La persistenza di queste opere dimostra che la tradizione di riservare un’edicola, o una nicchia, o un’immagine alla Vergine o a un santo è ancora viva negli spazi privati della nostra cittadina.
La devozione popolare della prima metà del ‘900 ha contribuito al diffondersi di sculture quasi sempre confezionate in serie; ci si riferisce in particolare alle grotte con la statua della Madonna di Lourdes che si vedono in alcuni angoli nei giardini di villette arcoresi. A volte hanno preso il posto dei manufatti di arte minore o popolare (di cui vanno definitivamente superate le etichette di qualificazione negativa) penalizzando quell’intimo rapporto che un tempo si creava in quei luoghi sacri, cari all’immaginario collettivo, troppo spesso ricordati esclusivamente nella tradizione orale e annoverati tra i beni culturali immateriali.
Per alcune delle immagini ritrovate in Arcore la memoria dei residenti ha permesso di ricostruirne la loro presenza; un dipinto murale risultava ritoccato o una statua scomparsa e sostituita da un’altra immagine, ma nel medesimo punto soggetti di epoche diverse si ripresentano ancora oggi come punti di devozione. Un lume, un fiore, un ex voto ci richiamano ad una devozione popolare ancora presente. Infatti le immagini sacre segnano esperienze religiose e di preghiera nelle sue diverse forme di richiesta e ringraziamento; a volte purtroppo ci si passa vicino senza soffermarsi.
Negli edifici rurali, all’angolo di una strada, nello spigolo di una cancellata, protette dalle lobbie di una corte, santi e Madonne documentano forme di ritualità scandite dal calendario e dalle feste religiose. Queste opere non sono sempre di valore artistico anche perché risultano ritoccate da ridipinture o manomissioni ma permane in loro un valore di tradizione e di fede da rispettare e conservare. Nella loro semplicità iconografica rischiano di diventare sempre più difficili da decodificare, rimangono frammenti di un sacro, a volte popolare, a volte quotidiano o rituale che richiamano alla preghiera, alla contemplazione in spazi e tempi diversi.
Fra le opere pittoriche di particolare interesse appare “La Natività” recentemente restaurata e riposizionata nell’atrio della rinnovata Residenza Villa Buttafava alla Ca’ Bianca (vedi scheda N° 36). L’affresco è stato staccato dalla primitiva collocazione sotto il portico della cascina rurale, collocazione che ne ha compromesso lo stato di conservazione. L’intervento di restauro ha riportato alla luce il colore e i tratti pittorici che risultano frutto di una mano abbastanza raffinata. Il viso e gli angeli alati si guardano con dolcezza e circondano il Bambinello appoggiato ai piedi della Madre. Sullo sfondo appare un asinello e le altre parti, seppure frammentate, lasciano intravedere adeguate competenze tecnico pittoriche.
Un’altra immagine, rappresentante la Madonna, appare in una insolita ubicazione nella zona Taboga alla Ca’ (vedi scheda N° 34). E’ in uno spazio precedentemente destinato al ricovero degli animali. L’affresco rappresenta in dimensioni reali la Madonna col Bambino appoggiato sul braccio. In cielo testine svolazzanti di angioletti delimitano la spazio. L’immagine colpì anche il fotografo Cesare Colombo che nel 1997 la fotografò classificandola come Madonna del XX° secolo (la fotografia, inserita nel sito “Lombardia beni culturali”, si trova al Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo).
In alcune corti di Bernate si trovano pitture murali, datate 1950 e firmate dal pittore Fiorentino Vilasco: Corte San Giuseppe (Madonna in trono con aureola di stelle e angeli – vedi scheda N° 02), Corte Maria Teresa (Madonna B.V. di Caravaggio – vedi scheda N° 05), e Cascina San Giacomo (Madonna Incoronata con Bambino, Santi e Angeli – vedi scheda N° 09). Nello stesso periodo (1950) questo artista intervenne nella chiesetta di San Giacomo, a Bernate, ridipingendo a tempera opere all’interno della chiesa stessa. Nelle schede sopra citate, sono segnalati anche gli affreschi che Vilasco eseguì (1954 – 1955) nella parrocchiale di Cassago Brianza, nella chiesa di Santo Stefano di Vedano al Lambro e nella cappella dell’oratorio di Concorezzo.
Dalla schedatura sul nostro territorio emergono anche diverse tipologie di statue, alcune salvate nei lavori di restauro di corti e cascine, altre abbattute. Nella cascina Franceschetta, ora distrutta, rimane solo nel racconto la presenza di una Madonna oggetto di culto e venerazione contadina scolpita in un unico blocco di pietra denominata “Madonna del di” (del dito).
Molto curiosi e di difficile lettura, se non per frammenti, sono due affreschi su parete: uno nella corte in via Ferruccio Gilera N° 46 (vedi scheda N° 14), e l’altra su una parete dei mulini Taboga alla Ca’ (vedi scheda N° 40). Non mancano alcune statue che si sono salvate dall’asportazione o dal furto protette da una cornice col vetro, in alto rispetto al passaggio pedonale; sulla statale 36 si intravedono alcune Madonne particolarmente raffinate e probabilmente vestite con elementi di tessuto. Interessante è anche una Pietà di terracotta policroma posta in una nicchia sul muro esterno di una abitazione (vedi scheda N° 17).
Ignazio Cantù, nel 1836 scrivendo sulle vicende della Brianza, si soffermava nel dire come non ci fosse paese che non avesse cappellette votive o croci nei campi. Anche Manzoni, nei “Promessi sposi” (cap. XI) ci descrive una breve preghiera di Renzo di fronte a un’edicola lungo la strada che da Monza conduceva a Milano: “[…] si ingolfava tutto nella rabbia e nel desiderio di vendetta … e si ravvedeva; gli si risvegliava ancora la stizza; ma vedendo un’immagine sul muro, si levava il cappello, e si fermava un momento a pregar di nuovo: tanto che, in quel viaggio, ebbe ammazzato in cuor suo don Rodrigo, e resuscitato, almeno venti volte. […]”.
Anche ad Arcore lungo il muro di cinta del parco Borromeo d’Adda, è inserita a ricordo dei morti per la peste un’abside che accoglie una croce in pietra eretta su un piccolo Monte Sinai in sassi: è “La Cappelletta della peste 1576 – 1630″ (vedi scheda N° 22). La cappella denominata “Mort Lungh” è ancora meta di devozioni, processioni per invocare la pioggia, richieste d’aiuto e protezione legate alla speranza di buoni raccolti fino al dopoguerra; all’inizio della via una croce di ferro segnava il percorso verso una probabile fossa comune di sepoltura; una scritta sotto la croce ricordava: “morti del contagio del 1300”. Questa antica croce di ferro a forma di croce di San Maurizio, con le estremità trilobate, è oggi murata dietro la croce di pietra in mezzo all’abside della cappellina.
Questa attività di ricerca di fotografia e catalogazione può essere considerata un primo passo per un censimento accurato e il più possibile completo. Abbiamo raccolto numerose manifestazioni di soddisfazione e cordialità da parte di chi viveva vicino a queste immagini o ne aveva curato la conservazione. In genere in Arcore sono meglio conservate le statue in nicchie di vetro e le pitture all’interno di corti e cascine dove resistono devozioni segnate da pizzi sulle mensole, fiori e ceri accesi. In questi casi le umili tracce di fede assolvono ancora le loro funzioni originarie; nella loro povertà sono briciole di storia e religiosità spontanea.
BIBLIOGRAFIA:
(1) = Carlo Borromeo: “Istruzione sull’edilizia e la suppellettile ecclesiastica” Cap. XXXI, 1577.
Alcuni riferimenti dal volume “Le edicole sacre di Monza silenziose tracce di devozione popolare” di M. Bonfanti e S. Sironi (censimento del 2001).